The Shard, la scheggia nel fianco di Gasparri

14 agosto 2014

“Pur rispettando il capo dello Stato e i quattro nominati (Claudio Abbado, Renzo Piano, Elena Cattaneo, Carlo Rubbia), dalle carte trasmesse alla giunta non sono emersi elementi sufficienti ad identificare gli ‘altissimi’ meriti scientifici della prof. Cattaneo nè gli ‘altissimi meriti sociali’ attribuiti a tutti e quattro”.
I senatori di Forza Italia sui senatori a vita nominati da Napolitano

“Resta poi la intollerabile condotta di Renzo Piano che, a differenza degli altri senatori a vita, è venuto in aula solo per il voto sulla decadenza di Berlusconi, con una condotta che non esito a definire spregevole.”
Maurizio Gasparri
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Camminando per Londra c’è una presenza discreta e continua che sembra seguirti ovunque si vada.
Un po’ come quando si viaggia in auto nelle notti estive e pare che la luna ti segua e ti faccia compagnia.
Si parla del grattacielo progettato da Renzo Piano chiamato The Shard, in italiano scheggia o spina, che grazie alla sua altezza svetta nel cielo di Londra ed è praticamente visibile quasi da ogni parte della città soltanto alzando lo sguardo.
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Personalmente non ho ancora fatto i conti con questo genere di edifici, i grattacieli, probabilmente perché vivo a Milano e non sono ancora riuscito a capire come le prime torri sorte negli ultimi anni si possano integrare con la tradizione urbanistica del capoluogo lombardo.
Ma sono edifici che mi affascinano perché sono solitamente belli, innovativi e sfidano le capacità e le possibilità umane.
The Shard è stato inaugurato nel 2012, costruito su progetto di Renzo Piano è alto 310 metri, al suo interno ci sono uffici, negozi, ristoranti, alberghi, appartamenti di lusso. Costruito con le più avanzate tecnologie per il risparmio energetico, grazie alla copertura esterna in cristallo cambia il colore e l’intensità delle sue otto facce durante le ore della giornata e nelle diverse condizioni climatiche.
Il progetto prevedeva un limitato numero di posti auto, una cinquantina, per favorire il trasporto pubblico, il grattacielo sorge nei pressi della London Bridge Station che ha un’utenza giornaliera di circa 300 mila persone.
Pensato come un luogo per i londinesi in realtà ha prezzi così elevati che la fruizione dell’edificio anche per una visita, l’ingresso costa 25 sterline, è proibitivo.

Fotografia dal sito http://www.the-shard.com/

Fotografia dal sito http://www.the-shard.com/

All’ultimo piano è stata creata la Meditation Room e non so se Gasparri abbia mai pensato di andarci.
Nonostante la mia scarsa propensione nazionalistica camminando per Londra pensavo con un certo piacere di poter essere meglio rappresentato dalla “scheggia” di Renzo Piano piuttosto che dal compatimento o dai sorrisi ironici che suscita la nostra classe politica modello Gasparri.


Oltre la geometria

25 settembre 2013

L’architettura organica di Wright in America e di Aalto in Europa risponde a richieste funzionali complesse. Cioè, non è solo funzionale rispetto alla tecnica e all’utilità ma anche alla psicologia dell’uomo.
Il suo messaggio è post-funzionalista: è l’umanizzazione dell’Architettura.
La formula della macchina dell’abitare fa i conti con il campo dell’irrazionale, scopre e libera i problemi dell’inconscio e l’architettura, che segue la storia, si apre e si umanizza per il naturale processo evolutivo del pensiero scientifico.
Lo spazio organico è ricco di movimento, di indicazioni direzionali, illusioni prospettiche, di vive invenzioni.
Non si tratta meramente di gusto ma di esprimere l’azione, di creare spazi belli perchè rappresentativi di vita organica.
L’architettura più audace e poetica di Frank Lloyd Wright è la Falling Water, una casa la cui parte anteriore è proiettata su una cascata mentre quella posteriore è saldamente ancorata ad una piattaforma rocciosa.
Costruita in calcestruzzo armato, casa Kaufmann è un gioco di elementi a sbalzo tenuti insieme da puntoni che saldano la casa alla roccia.
Il piano principale è costituito quasi interamente da un unico ambiente centrale e palpitante che si apre su spazi subordinati. Al piano superiore piccoli appartamenti individuali danno su terrazze private aggettanti, individuate come corpi ritmici e vigorosi che sembrano librarsi nello spazio.

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Frank Lloyd Wright, Fallingwater, 1935-39, Mill Run.

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Fallingwater, Ancoraggi.

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Fallingwater, Ancoraggi.

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Fallingwater, Camino.

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Fallingwater, Zona studio.

Partendo dall’idea di accostare piani geometrici su livelli differenti come per la casa sulla cascata, Alvar Aalto sviluppa una concezione di spazio che dalle radici autoctone della Finlandia si eleva fino a divenire un linguaggio universale.
Villa Mairea modula lo spazio attraverso l’uso sapiente della luce naturale, dei colori e dei materiali;
nasce pensando al modo in cui deve essere vissuta. Aalto, così facendo, reinterpreta l’idea stessa della casa. Cerca, anche in corso d’opera, una mediazione tra la sfera razionale e quella emozionale, e l’ abile intreccio tra la sensualità della linea curva e dei materiali naturali, e il rigore dell’angolo retto e dei volumi bianchi ne sarà il risultato.

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Alvar Aalto, Villa Mairea, 1937-39, Noormarkku.

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Alvar Aalto, Villa Mairea, 1937-39, Noormarkku.

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Villa Mairea, 1937-39, Particolare delle finestre.

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Villa Mairea, Vista dalla piscina.

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Villa Mairea, Soggiorno.

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Villa Mairea, particolare della scala.

Joonas Kokkonen è considerato dopo Jean Sibelius il più grande compositore finlandese del Novecento.
Joonas Kokkonen e Alvar Aalto sono legati da profonda amicizia. Nel corso degli anni Sessanta, Kokkonen dedica al grande architetto una composizione che non è solo segno di ammirazione ma come dichiara lo stesso compositore, il risultato di “extensive conversations” in cui i due artisti hanno approfondito gli stretti legami tra musica e architettura che sono “much deeper and richer than words can express”.
Negli stessi anni Joonas Kokkonen va a vivere nella villa Kokkonen progettata da Alvar Aalto.


Al servizio della Rivoluzione

18 settembre 2013

Immaginate un mondo completamente diverso.
Non perché lo sia realmente ma perché sogna di poterlo diventare.
Aldo Nove, dall’introduzione Di cento soli arde il tramonto di Vladimir Majakovskij.

Il ripensamento dell’intera tradizione figurativa russa si deve all’architettura del Costruttivismo che riesce ad esprimere le rivoluzionarie trasformazioni politiche successive al 1917 e proprio per questo viene utilizzata dal governo per i suoi fini propagandistici, fino al consolidamento del potere di Stalin.
Nella giovane Unione Sovietica vengono accolte le indicazioni delle esperienze europee più avanzate come la Bauhaus e il De Stijl e viene affrontato il problema della progettazione di nuove tipologie per il proletariato operaio divenuto classe dirigente: case comuni, ritrovi per attività culturali, sedi di giornali, strutture per gli organismi rappresentativi.
Il linguaggio espresso in questi progetti è accentuatamente macchinista, e assume pienamente la dinamica spazio-tempo confrontabile almeno in parte con il Futurismo.
Il progetto architettonico più importante di questi anni viene elaborato da El Lissitzkij insieme all’olandese Mart Stam ed è il Wolkenbügel, la “staffa delle nuvole”.
Il progetto rimasto irrealizzato doveva essere un enorme complesso destinato ad uffici sorretto solo da pochi puntelli che sembrava galleggiare orizzontalmente nello spazio, quasi in assenza di gravità. Quest’opera, forse bizzarra, deve essere intesa come un’antitesi critica sia al grattacielo capitalistico che al potere classico.

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El Lissitzkij, Wolkenbugel, 1923-25.

Altro celebre progetto è il monumento per la Terza Internazionale di Vladimir Tatlin, una sintesi di architettura e scultura. Si sarebbe dovuto presentare come un sistema di tralicci metallici a forma di spirale ascendente al cui interno avrebbero dovuto ruotare, con cadenza diurna, settimanale e annuale, tre solidi platonici destinati ad ospitare differenti istituzioni statali.
Il meccanismo evidenzia la periodicità delle funzioni attraverso il movimento legando lo spazio architettonico alla dimensione temporale, una rappresentazione del nuovo ordine rivoluzionario.

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Vladimir Tatlin, Monumento alla Terza Internazionale, 1919.

L’ampio e ambizioso programma dei lavori utopistici e rivoluzionari dei costruttivisti sovietici, oggetto di accanite discussioni fra gli intellettuali russi viene sostenuto solo da un numero modesto di realizzazioni concrete a causa della situazione politica ancora confusa e soprattutto per le grandi difficoltà tecniche ed economiche dell’Unione Sovietica post-rivoluzionaria.
Anche la musica è al servizio della rivoluzione e condivide con il Costruttivismo l’idea di un’arte che sia al servizio del proletariato e che superi i canoni della rappresentatività borghese.
Numerosi i compositori della giovane Unione Sovietica di questo periodo che si riuniscono agli inizi degli anni Trenta nella Lega dei Compositori Sovietici.
Tra questi uno dei più rappresentativi è Dmitrij Dmitrievič Šostakovič (1906-1975). Nelle sue prime composizioni, dalla Sonata per pianoforte n. 1 del 1926 al celebre Concerto per pianoforte ed orchestra, tromba ed archi del 1933, troviamo un sottile gusto per la parodia rivolto fra l’altro al dileggio dei moduli musicali borghesi, anche esplicitamente richiamati e mimati all’interno di una musica dissacratoria.
Un atteggiamento provocatorio e di pungente polemica verso le formule musicali tradizionali è presente nella musica di Šostakovič, come si può rilevare nei 24 Preludi per pianoforte (1933) o prima ancora nei magistrali Aforismi pure per pianoforte (1927); ma al tempo stesso è sempre presente la ricerca di un linguaggio più complesso e di avanguardia, liberato dai vincoli sintattici della tonalità.
A volte il tributo della musica alla rivoluzione sta anche nei titoli di alcune opere come la Sinfonia n. 2 e la Sinfonia n. 3, del 1927 e del 1930, chiamate l’Ottobre e Primo Maggio, che richiamano direttamente i momenti politici cui riconducono.


Arte e scienza del costruire

11 settembre 2013

 

Nervi era veramente una persona straordinaria:
quando raccontava le strutture, era come se stesse vivendo dentro la materia.
Era in grado di descriverne gli sforzi, le tensioni, le sollecitazioni, le deformazioni.
Era capace di raccontare il cemento armato come se fosse un essere vivente.
E poi era molto generoso malgrado sembrasse piuttosto burbero.
Manfredi Nicoletti

Pier Luigi Nervi nasce come progettista con la realizzazione dello stadio Berta di Firenze, che diventa subito un chiaro segno di svolta nella storia recente dell’architettura italiana e non.
Quest’opera sarà battezzata in Casabella dell’aprile del 1933 come un’esempio della nuova via da perseguire, e tutto il suo lavoro, precedente e futuro, sarà caratterizzato da una grande onestà architettonica, come lo definì Giuseppe Pagano.
Dopo il successo di questa realizzazione Nervi si fece imprenditore. Scelta dettata da mera necessità perchè sul mercato non c’erano imprese che se la sentissero di realizzare i suoi progetti.
In ogni sua opera, Nervi mette a dura prova la metodologia della progettazione strutturale.
Nella scienza delle costruzioni, infatti, il calcolo matematico è talmente ampio da dover accettare numerosissime soluzioni ad un unico problema statico.
È evidente perciò che è l’intuizione del progettista a risolverlo nel modo migliore.
Su questo argomento, Nervi torna con insistenza, quasi fosse infastidito dal fatto che le sue opere potessero venire relegate all’angusto ambito dell’ingegneria civile.
Nervi spiega che il problema è di “inventare” prima una struttura, prefigurandola come forma nello spazio, e poi calcolare.
Lo spiega alle sue conferenze, nelle pagine di “Scienza o arte del costruire?“, e certamente con i suoi progetti, adottando sperimentazioni sempre più avanzate e con tecniche di prefabbricazione inedite.
Nervi riesce a risolvere con il minimo costo la massima efficienza, e con rara eleganza problemi antichi come quelli individuati dai grandi spazi coperti.
Bruno Zevi, durante una sua commemorazione, ha ricordato un episodio che è anche un po’ il riassunto della sua opera e, al tempo stesso, il ritratto psicologico del personaggio Nervi.
Fa riferimento all’assestamento dell’immensa copertura in ferro e cemento dell’aviorimessa di Orbetello.
Che la struttura dovesse muoversi -e oscillare paurosamente- una volta liberata dall’impalcatura era previsto, ma le ore passavano e il fenomeno non accennava a diminuire.
“Feci un rapido calcolo”, raccontò Nervi. “Se il cemento non si arresta nel giro di centottanta minuti, si avrà il crollo. Allora, presi un panchetto, entrai, mi misi a sedere lì sotto, aspettando.”

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Palazzetto dello Sport, 1956-60, Roma. Cavalletti di sostegno della copertura, fase di realizzazione.

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Palazzetto dello Sport, 1956-60, Roma. Particolare delle nervature in copertura.

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Palazzetto dello Sport, 1956-60, Roma. Particolare delle nervature in copertura.

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Viadotto di Corso Francia, 1960, Roma.

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Palazzo delle Esposizioni, 1947-‘48, Torino.

Giulio Carlo Argan considerando l’opera di Nervi si era convinto che “il metodo di ricerca formale proprio dell’architettura tecnica fosse un metodo intrinsecamente estetico”.
Pier Luigi Nervi e i suoi collaboratori ben conoscevano le relazioni fra la geometria descrittiva e le equazioni analitiche che governavano le forze che si trasmettevano attraverso le strutture da essi costruite ma, soprattutto, possedevano le capacità per attuarne la cantierizzazione.
Lo stesso Nervi in un suo saggio del 1955, per spiegare il rapporto fra tecnica e arte fa riferimento alla perizia tecnica del pianista Benedetti Michelangeli come condizione indispensabile per l’esercizio del suo lirismo musicale.
Conoscenza profonda, meditazione, capacità di esecuzione: solo una formazione rigorosa e alta, può inverare tali condizioni.
Nervi, come il pianista Benedetti Michelangeli, da “artista di grande cultura, attraverso la scienza cercava l’espressione vera della modernità”.


Una casa come me

28 agosto 2013

L’architettura di Adalberto Libera sa interpretare il sito e leggerne la tipologia senza per questo ridurre il proprio linguaggio al contesto.
Una delle sue architetture che sa difendersi meglio dalle suggestioni di un ambiente molto connotato come può essere il roccioso promontorio di Capri, è senz’altro la casa progettata per lo scrittore Curzio Malaparte.
Nella forma allungata della costruzione si possono leggere due parallelepipedi: uno puro e l’altro strombato e diminuito verso terra per poter accedere alla terrazza.
L’abitazione si distribuisce con uno schema a T su più livelli. Nella parte seminterrata si trovano la cantina, i locali di servizio e le cucine. Al piano terra ci sono altri locali di servizio, un ostello per gli ospiti e un’originale e piccola stanza detta “della montagna” per via dell’alta rupe che si vede attraverso la finestra. Al piano superiore c’è il vasto soggiorno con quattro grandi finestre che basterebbero da sole ad arredare tutto lo spazio come fossero quattro grandi quadri sui Faraglioni, Capri e il mare.
Il camino, semplice, grande e centrale possiede al suo interno un’altra finestra esposta ad ovest dalla quale, d’inverno, il sole al tramonto illumina il fuoco giocando con il suo tremore.
In fondo a tutto, testa dell’edificio, lo studio.
La casa di Malaparte esternamente sembra arida e ottusa nella sua rinuncia a tutti i segni effimeri.
Il proprietario stesso ne dirà: “Una casa come me, dura, strana, schietta”.
Malinconica e bellissima, verrebbe da aggiungere.

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Adalberto Libera, Casa Malaparte, 1938-43, planimetria e pianta del piano secondo.

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Adalberto Libera, Casa Malaparte, 1938-43, prospetto nord-est e prospetto sud-ovest.

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Casa Malaparte su Punta Massullo, Capri.

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La Stanza della Montagna.

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Terrazza.

La casa di Curzio Malaparte inserita come un cuneo nella natura circostante, così isolata con queste suggestioni ambientali e l’impareggiabile spettacolo che offre alla vista ha attirato spesso le attenzioni di registi cinematografici e pubblicitari.
Jean Luc Godard nel 1963 dirige il film Le Mepris tratto dal libro Il disprezzo di Alberto Moravia. Il film che prevede un cast importante e la colonna sonora del musicista Georges Delerue è ambientato nella seconda parte nella Villa Malaparte.

Il film nella versione italiana, causa la censura del tempo, è stato deturpato con un montaggio improbabile, il taglio di più di 20 minuti di scene e la sostituzione delle colonna sonora di Delereu con una più “leggera”.
In questi giorni a Capri il Premio Letterario Malaparte rende omaggio a Le Mépris a 50 anni di distanza con la proiezione del film e di altre immagini delle riprese a Villa Malaparte.


Less is more

21 agosto 2013

Dio è nei dettagli.
Gustave Flaubert

Chi si dichiara apertamente contro il formalismo e la speculazione estetica è Ludwig Mies van dar Rohe, erede diretto della scuola prussiana del Neoclassicismo.
La sua idea di spazio architettonico è il risultato di una sintesi tra diverse componenti: la frantumazione dell’involucro murario e la continuità fra ambienti e fra interno ed esterno di matrice wrightiana e filtrata dal Neoplasticismo, la cultura industriale che coglie la possibilità di fornire prodotti dalle elevate prestazioni e l’ordine costruttivo e la chiarezza tipologica della tradizione classica.
Il Classicismo nei progetti di Mies ha un gusto contemporaneo che culmina nella sua dichiarazione di fede architettonica “less is more” pur non conducendolo ad alcun purismo.
Nella pianta della casa in mattoni del 1923, l’ordine degli elementi strutturali rimane rigidamente geometrico, ma il volume architettonico si scompone.
Lo spazio continuo è tagliato da piani verticali che non formano mai figure chiuse, geometricamente statiche, ma creano un’ininterrotta fluenza nella successione degli angoli visuali.
Inconsueti e non certo casuali, i tratti che tendono all’infinito che non sono altro che piani potenzialmente illimitati.

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Progetto per una casa in mattoni, 1924.

Nel Padiglione della Germania progettato in occasione dell’Esposizione Universale di Barcellona del 1929, lo spazio interno ed esterno di pertinenza della costruzione è individuato dal podio, mentre tutti gli altri elementi (le vetrate, la copertura piana, le vasche d’acqua, le pareti di onice e travertino, il tappeto nero) sono trattati come piani che con la loro qualità materica o trasparenza definiscono gli ambienti senza spezzarne la continuità.
I pilastri a croce rivestiti di acciaio cromato sono indipendenti dallo schema distributivo e con la loro presenza statica fissano un’ordinata sequenza di punti di riferimento. Un ordine spesso paragonato ai colonnati classici.

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Padiglione di Barcellona, 1924.

Quasi contemporaneamente Mies progetta Villa Tugendhat a Brno, in Cecoslovacchia. La casa è disposta su due livelli che seguono la pendenza del terreno. Il livello inferiore è in realtà un unico ambiente tipologicamente confrontabile con il Padiglione di Barcellona, si affaccia sul paesaggio della città tramite una vetrata a bande verticali.
Pochi elementi individuano alcune funzioni: una parete curva in ebano la zona pranzo, una lastra di onice dorato separa lo studio-biblioteca dallo spazio conversazioni, una parete in vetro individua il giardino d’inverno.
Anche qui i pilastri a croce individuano gli snodi del reticolo strutturale, unica partizione geometrica di un vasto spazio liberamente (ma non casualmente) articolato.

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Villa Tugendhat, 1928-30, Brno. Spazio conversazioni con la lastra di onice dorata.

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Villa Tugendhat, 1928-30, Brno. Sala da pranzo con la parete curva in ebano.

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Villa Tugendhat, 1928-30, Brno. Affaccio sulla vetrata.

In questo primo dopoguerra periodo di grande fermento e di ricerca culturale tra avanguardia e tradizione vi sono numerose proposte che cercano di individuare un nuovo rapporto tra arte e società che sia più in sintonia con la natura che non con la tecnica, con l’uomo reale anche quello delle classi più deboli che non con una sua rappresentazione intellettuale.
Nella Germania di Weimar si forma nel 1919 il gruppo detto Novembergruppe che porta avanti istanze collegate a quelle della Bauhaus. Diverse arti sono rappresentate nel Novembergruppe, dalla musica alla scrittura, dalla pittura all’architettura che conta anche l’adesione di Mies van der Rohe.
Tra i musicisti la figura più importante è quella di Alban Berg che condivide lo spirito di ricerca culturale del Novembergruppe. Compone in questo periodo, nel 1925, il Concerto da Camera per pianoforte e violino con 13 strumenti a fiato che dedica al musicista Arnold Schönberg.


Tra misura e utopia

14 agosto 2013

La musica è: tempo e spazio, come l’architettura
Le Corbusier, 1954.

È quando si avverte la precarietà del futuro che si scopre la necessità spirituale della certezza del presente. Fu così anche nell’estate del 1945 quando i popoli si aprivano ad un nuovo presagio di distruzione personale e collettiva, con la comparsa della bomba atomica.
Ricostruire per dimenticare.
Ricostruire voleva dire affidarsi ancora all’uomo, alla sua capacità di recuperare la speranza, di ricondurre e ricondursi all’ordine, al rigore di una norma scientifica.
L’esigenza primaria è il ritorno all’uomo, alla sua misura per ritrovare la matrice di una proporzionalità esatta di rapporti sociali.
Le Corbusier, sensibile interprete delle situazioni, conviene che “per formulare risposte da dare ai formidabili problemi posti dal nostro tempo e riguardanti l’attrezzatura della nostra società, vi è un unico criterio accettabile, che ricondurrà ogni problema ai suoi veri fondamenti: questo criterio è l’uomo”.
Proprio in questi anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale raccoglie nel modulor i risultati di anni di studio.
Il modulor è una grille de proportion, un tracciato proporzionale stabilito dalla misura umana, da usare come strumento chiarificatore in fase di progettazione.
L’uomo di Le Corbusier prosegue la ricerca dell’uomo vitruviano ma giunge molto lontano da una figura umana inserita nei limiti perfetti di un cerchio e di un quadrato. Giunge alla relazione con la totalità dell’ambiente.
L’uomo di Le Corbusier è un organismo biologico, nulla quindi di più lontano all’invariabile bellezza e perfezione classica.
Il modulor è semplicemente un certo uomo che compie certe funzioni nel suo ambiente e il compito dell’architetto diventa quello di progettare standard ottimali, che siano adattabili nella stessa misura a pensili per cucine o ad intere città.

Il Modulor che deriva da module e or è basato su due scelte fondamentali: una di tipo matematico, una di tipo antropomorfo. Quest'ultima porta Le Corbusier ad associare alcune delle misure della griglia a misure del corpo umano, e ad assumere come valore di riferimento 1.83 m, altezza di un uomo ideale. La scelta di tipo matematico consiste nel considerare lunghezze tali che il rapporto tra due consecutive sia il numero d'oro: indicando con a, b, c, d,....... grandezze successive si ha: a/b=b/c=c/d=.....= t, e anche c=a+b, d=b+c,........ . Queste seconde uguaglianze non sono esatte, ma operativamente, nella pratica della costruzione architettonica, possono essere accettate come vere. La successione dei numeri è quindi considerata da Le Corbusier anche una successione che segue la legge dei numeri di Fibonacci. Le Corbusier considera due scale di questo tipo, una ottenuta partendo da un quadrato di lato 113 (...27, 43, 70, 113, 183, ...) che chiama serie rossa, una partendo da un rettangolo 113x226 (....53, 86, 140, 226, 366, .....) che chiama serie blu il cui numero 226 (113x2), è preso come misura dell'uomo in piedi con il braccio alzato.

Il Modulor che deriva da module e or è basato su due scelte fondamentali: una di tipo matematico, una di tipo antropomorfo. Quest’ultima porta Le Corbusier ad associare alcune delle misure della griglia a misure del corpo umano, e ad assumere come valore di riferimento 1.83 m, altezza di un uomo ideale.
La scelta di tipo matematico consiste nel considerare lunghezze tali che il rapporto tra due consecutive sia il numero d’oro: indicando con a, b, c, d,……. grandezze successive si ha: a/b=b/c=c/d=…..= t, e anche c=a+b, d=b+c,…….. .
Queste seconde uguaglianze non sono esatte, ma operativamente, nella pratica della costruzione architettonica, possono essere accettate come vere. La successione dei numeri è quindi considerata da Le Corbusier anche una successione che segue la legge dei numeri di Fibonacci.
Le Corbusier considera due scale di questo tipo, una ottenuta partendo da un quadrato di lato 113 (…27, 43, 70, 113, 183, …) che chiama serie rossa, una partendo da un rettangolo 113×226 (….53, 86, 140, 226, 366, …..) che chiama serie blu il cui numero 226 (113×2), è preso come misura dell’uomo in piedi con il braccio alzato.

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Le Corbusier ritiene musica e architettura arti sorelle perché linguaggi delle geometriche strutture di spazio e tempo. Scrive ancora : “La tangenza tra musica e architettura tante volte evocata a proposito del Modulor si trova questa volta scientemente espressa in una partitura musicale di Xenakis, Metastasis, composta con il Modulor che quindi apporta il suo valido contributo alla composizione musicale.”
Il Modulor ideale architettonico a misura d’uomo diviene a sua volta nella composizione Metastasis di Xenakis ideale musicale a misura d’uomo.


L’insegnamento della Bauhaus

7 agosto 2013

Formiamo una nuova comunità di artefici
senza la distinzione di classe che alza un’arrogante barriera tra
artigianato e artista.
dal Manifesto della Bauhaus, 1919.

La scuola dell’architettura e dell’arte applicata che fu la Bauhaus, è inseparabile dalla condizione storica della Repubblica di Weimar e dalla fragile democrazia tedesca.
La Bauhaus, concepita come un piccolo ma completo organismo sociale mira a realizzare un’unità del metodo didattico e del sistema produttivo. È fondata su principi di collaborazione tra maestri e allievi che, per tutta la durata dei corsi vivevano all’interno della scuola e la loro cooperazione continuava anche nelle ore di riposo che venivano impiegate in letture, mostre, conferenze, audizioni musicali e gare sportive.
L’arte in questo modo doveva perdere ogni eccezionalità per confrontarsi nel normale ciclo di attività quotidiane.
La Bauhaus pone al centro dell’insegnamento e della ricerca il rapporto tra arte e prodotto industriale, studiando oggetti a qualsiasi scala, capaci di esprimere nella loro forma, la cultura figurativa del proprio tempo e di essere compatibili con le esigenze della produzione in serie.
L’unità delle scale di progettazione, “dal cucchiaio alla città, è stato uno dei principi metodologici fondamentali affermati dalla Bauhaus: nell’organizzazione dello spazio il particolare è importante quanto l’insieme, il dettaglio architettonico è parte non a sé stante ma della struttura spaziale dell’edificio, l’edificio di quella della città, la città di quella del territorio e dunque il particolare va progettato nella consapevolezza culturale dell’insieme del quale fa parte.
La sede della Bauhaus progettata a Dessau da Walter Gropius esprime molto chiaramente la metodologia di progettazione: l’immobile è articolato in più parti, ciascuna destinata ad ospitare una delle funzioni della scuola: un corpo interamente vetrato è adibito ai laboratori e alle aule, uno sopraelevato con una finestra in lunghezza per gli uffici, uno più alto con dei balconcini per le residenze, un altro per gli ambienti di servizio. L’analisi funzionale porta a scomporre la funzione scolastica destinando appositi spazi a ciascuna attività e riaggregandoli poi sulla base di una composizione dinamica che evidenzia il funzionamento dell’edificio.
La tipologia non è più determinata a priori ma è il risultato di un metodo che privilegia gli aspetti funzionali come determinanti delle componenti tipologiche e formali.

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Walter Gropius, 1926, sede di Dessau.

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Marcel Breuer, 1925, Wassily chair o sedia Modello B3.

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Marianne Brandt, 1924, Teiera.

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Gunta Stölzl, 1926, Progetto per un tappeto.

La Nuova Oggettività, die neue Sachlichkeit, con il suo approccio non sentimentale alla natura della società, si sviluppa anche in ambito musicale.
In contrasto con la scadente proposta musicale che arriva alle masse attraverso la radio, essa coltiva l’ideale di una musica legata alla vita quotidiana, una “musica d’uso” (Gebrauchmusik) disponibile a tutti, adatta anche a esecutori dilettanti, e in grado di svolgere un ruolo educativo e sociale. Paul Hindemith (1895-1963) è uno degli interpreti di questa tendenza in cui il musicista, come l’ artista della Bauhaus, mette la sua arte a disposizione di un ascolto musicale di qualità per le masse. Hindemith si impone nell’ambiente della Bauhaus nel 1927 quando imprime questa svolta culturale con le musiche per organo meccanico e pianola per il Triadische Ballet di Schlemmer e con la collaborazione con Kurt Weill e Bertolt Brecht. In questa prospettiva Hindemith compone la musica di accompagnamento per alcuni film muti.

Contro la Bauhaus si coalizzarono fin da subito l’ambiente artistico ufficiale, l’artigianato conservatore e le destre nazionaliste che nel 1933 la sopprimeranno ufficialmente nella sua forma e nei suoi ideali democratici.


Gli infiniti possibili

31 luglio 2013

 

Fra un’urna e un vaso da notte c’è una differenza,
e proprio in questa differenza la civiltà ha il suo spazio.
Carlo Scarpa

Il senso della storia di Carlo Scarpa ha radici profonde nelle sue origini veneziane così come ogni suo oggetto è aderente al topos da cui seppe attingere sempre con sapienza.
Il suo spazio ha una connotazione non univoca, mai aderente ad una poetica, ma aperta e disponibile al dialogo serrato del presente con il passato.
Nelle sue architetture sembra tutto semplicissimo e domestico invece c’è una continua ricerca nel dettaglio visibile, nel taglio perfetto delle pietre, nell’accostamento di differenti materiali e matericità.
E’ però nei percorsi orizzontali e verticali che Scarpa accentua l’interazione tra gli spazi: le scale presenti nell’edifico, sono pensate una ad una, sono episodi singoli che arricchiscono l’interno dell’edificio; lo stesso Scarpa annotava “Ho cercato di fare delle scale una specie di passeggiata nello spazio”.
Proprio nel ritmo degli scalini si ritrova un’elevatissima ricercatezza formale: le parti non si devono mai toccare, le fughe vanno sempre rispettate, le distanze dei tagli diventano pause. In questo gioco estetico tutto diventa dettaglio.

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Negozio Olivetti, 1958, Venezia.

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Museo di Castelvecchio, 1958-74, Verona.

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Schizzi per lo studio della scala del Museo di Castelvecchio, 1958.

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Fondazione Querini Stampalia, 1961-63, Venezia.

Venezia è anche il tramite dell’amicizia tra Scarpa e il musicista Luigi Nono, oltre che il collegamento delle “note” e dello “spazio” utilizzati come elementi compositivi per le loro creazioni.
Nono dedica nel 1984, alla memoria dell’architetto, la composizione A Carlo Scarpa e ai suoi infiniti possibili in cui “risuona l’utopia degli infiniti possibili” riconoscendo con questa definizione il suo lavoro creativo.
La passione per il proprio lavoro, la cura per i dettagli, la raffinata sensibilità verso la materia e la “tensione creativa verso spazi possibili (e impossibili)” accomunano i due metodi di pensiero.
Nono, nell’opera dedicata all’amico, crea i frammenti su due sole note mosse da microintervalli di 1/4, 1/8 e 1/16 di tono, sugli aloni e gli “infiniti colori-suoni-echi-spazi” derivati da una impressionante gamma di dinamiche: “Microintervalli di altezza e di dinamica sono tecnicamente possibili evitando banali approssimazioni ed effetti inquinanti di ottave, articolando tecnica e qualità del suono, vari gradi di sua presenza-pensiero, varie gradualità possibili tante, tutte da poter ascoltare”.


Art Metrò

24 luglio 2013

L’Art Nouveau è un inizio o piuttosto il tramonto definitivo
di un’epoca e dei suoi ideali?
Manfredo Tafuri, Francesco Dal Co

Il nome di Hector Guimard è associato ad una raffinatezza inarrivabile: nel segno a matita, nella composizione del progetto, nella plasmazione del ferro battuto.
Le linee vigorose e asimmetriche elaborano voluttuose decorazioni floreali senza temere troppo di accostarsi all’astrazione.
Guimard è influenzato dallo stile di Viollet-le-Duc e dall’organicismo belga di Horta, e quando la sua arte si diffonde su larga scala con gli ingressi del Metrò di Parigi, ha già raggiunto un ardito tecnicismo.
Quelli che infatti, dovevano essere i lavori logistici “di contorno” dell’Esposizione Universale del 1900, diventano preparatori alla prima linea metropolitana interrata di Parigi, la ligne 1, e simboli in superficie del progresso alla portata di tutti.
Il tono generale è di leggerezza, e l’assenza ovunque di linee diritte collocano decisamente questo complesso lavoro del genio Guimard nell’Art Nouveau.
Il suo gusto unico per i nuovi materiali e gli effetti inattesi che ottiene con alcune delle sue forme, sono la sola via per la quale si potrà giungere al Modernismo spagnolo di Gaudì.
Gli ingressi alla metropolitana parigina ancor prima di essere arredo urbano sono opere d’arte, e come tali, diventano e rimangono per molti anni al centro di polemiche. I critici li riscoprono presto “végétalisme” di uno stile diventato già demodé tanto che Le Figarò ne invoca la demolizione.
Salvador Dalí, alla fine del XIX secolo invece, li nominerà Arts Nouille, Stile Spaghetti.
Tra il 1900 e il 1912, Guimard realizzò 141 edicole. Ne sono rimaste 86, alcune delle quali donate ad altre reti metropolitane, oggi unanimamente riconosciute icone dell’elegante splendore della Belle Époque.

Progetto per la copertura di Revue d’Art, 1899.

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Particolare di un’insegna con la firma del progettista.

Ingresso al metrò, tipologia B coperta.

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Lampada in vetro ambrato collocata dentro una strana forma organica a gemma di fiore in ghisa verniciata di verde.

Particolare della copertura.

Con lo pseudonimo Monsieur Croche, Claude Debussy, negli stessi anni di Guimard, soleva pubblicare i suoi pensieri sulla musica e sull’arte in generale.
È nota la sua critica alla forma musicale tradizionale della “sinfonia” o della “sonata” paradigmi per tutte le forme musicali precedenti codificate in scuole o tendenze.
Anche nella sua opera, contro il classicismo, il romanticismo e ogni altro “ismo” è forte il richiamo alla natura intesa non come statica raffigurazione ma come espressione vitale in movimento.
L’assenza di linee rette nelle stazioni della metropolitana parigina e più in generale i temi dell’Art Nouveau, vengono espressi con il termine “eleganza rettilinea, con cui egli esprime anche una forte critica alla prevedibilità della forma sonata o della sinfonia.
La musica di Debussy è innovativa, fatta di brevi immagini, di suoni utilizzati come colori. Viene avvicinato all’Impressionismo ma lui stesso rifiutava questo accostamento. Alla musica tradizionale contrappone “l’arabesco musicale o piuttosto quel principio dell’ornamento che è la base di tutti i tipi di arte”.